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Appunti su Bohème, età d’inganni e d’utopie

da La Bohème di Giacomo Puccini
adattamento di R. Lo Sciuto, M. Lalli, O. C. Gallina, C.Volpini

Mimì : Eugenia Brainova              
Rodolfo: Michele Mauro              
Musetta : Tullia Bellelli          
Marcello : Emilio Marcucci
Colline : Rosolino Galioto
Shaunard : Sergio Lamiani
Nella parte dell’Autore : Michele Monasta

Direttore : Onofrio Claudio Gallina
Regia : Manu Lalli
Scene : Roberto Lo Sciuto
Costumi : Venti Lucenti
Luci : Marcello D’Agostino


Solisti dell'Orchestra Filarmonica di Palermo

 

NOTE DI  REGIA "APPUNTI SU BOHÈME"

di Manu Lalli

Il 1 Febbraio 1896 al Regio di Torino va in scena per la prima volta Bohème. L’opera, diretta da Arturo Toscanini, subisce una violenta stroncatura da parte della critica. Eppure Bohème da quel momento non vedrà che successi in tutto il mondo fino al trionfo, definitivo, di Palermo dove il sipario, ormai chiuso dopo decine di chiamate, dovette riaprirsi per permettere al pubblico in delirio  di riascoltare l’ultima scena e glorificare il vero grande maestro di questo capolavoro: Giacomo Puccini.  Bohème è l’opera della gioventù, l’opera della “ bella età d’inganni e d’utopie”, nella quale “si crede, si spera e tutto bello appare” ; forse il suo fascino immortale, il suo significato più profondo è tutto in questo verso, la perdita dell’ingenuità della gioventù, la consapevolezza del passare del tempo che porta con sé inevitabilmente affanni e dolori. Nessun soggetto, forse, quanto Bohème era stato così tanto sentito da Puccini, che la sua “Bohème” spregiudicata e insolente doveva averla vissuta davvero a Milano nella sua giovinezza. Con la Bohème, Puccini raggiunge un punto d’arrivo nella storia del teatro lirico per quanto riguarda la procedura della composizione, per la prima volta infatti (seppur dopo le vette raggiunte da Verdi) le esigenze musicali, drammaturgiche, letterarie e sceniche assurgono allo stesso ruolo in continua e equilibrata interazione, riuscendo a dare vita ad un opera organica la cui perfetta interazione è valsa a fare di Bohème una delle opera più rappresentate e dei suoi protagonisti dei tòpoi che continuano a ripresentarsi adattati agli usi delle varie regie, sempre ben riconoscibili. Il Maestro “imbriglia” così, qualsiasi forma di re-interpretazione dell’opera: nel libretto è tutto scritto, tutto detto, le intenzioni, i caratteri, le espressioni, i personaggi sono delineati con maniacale perfezione; la sua influenza pervade il racconto musicale fin nei minimi dettagli. Essendo essi stessi “simboli”, i personaggi di Bohème non vengono raccontati attraverso simboli, ma attraverso una regia il più possibile naturalistica. Questa APPUNTI SU BOHÈME, si apre quindi con un attore/ autore (forse lo stesso Puccini, ma chissà forse un più maturo Rodolfo ormai “arrivato”, che riscrive la sua storia) che scrive nella soffitta, da solo, pensa, sogna, ricorda. Piano, piano, l’autore si confonde con la figura stessa del personaggio creato e la storia comincia. La fredda soffitta del primo atto dove i quattro amici vivono, è il luogo dove il calore si manifesta solo all’arrivo dell’amore. La scenografia scarna e ridotta nel rispetto di una più generale riduzione del lavoro, mantiene integri gli elementi principali dell’opera e anzi esalta alla maniera romantica proprio le tensioni fondamentali del testo e dell’anima dei personaggi, i tetti, il freddo scuro inverno, la luce del natale per le strade, e il ghiaccio vetro dell’abbaino nel quale i giovani vivono. Nel tremendo freddo dell’inverno che non da tregua per tutta l’opera ai protagonisti, giunge quindi Mimì, l’amore “che bussa alla porta”, un amore travolgente, immediato, tipico dell’età giovanile, un amore che vuole tutto e subito, devastante, assoluto. Un amore che bruciando troppo intensamente finisce per spengere la “candela” di questa passione troppo vissuta. La musica disegna perfettamente la figura dolce e malata di Mimi una creatura che “ha premura di vivere perché ha paura di morire”.  Ma nell’opera c’è un altro amore altrettanto “violento”, ed è l’amore che Marcello (il pittore) prova per la bella e affascinante Musetta. Una figura sensuale, travolgente, perfetto contraltare di una Mimì fragile, poetica e malinconica, una figura scintillante tutto fuoco e desiderio, rispetto all’altra, lunare, sentimentale e struggente (e ad essa complementare nell'immaginario pucciniano). Il secondo atto, ambientato nella suggestiva cornice del quartiere latino è tutto gioia e luce; è “la vigilia di natale”, ogni cuore si scalda al pensiero degli affetti e Parigi è illuminata da mille luci che la faranno diventare di lì a poco la ville lumiere sognata da tutto il mondo. Ma questa apertura brillante e gioiosa sembra serva a Puccini per riportaci subito alla radice del dramma. Nel terzo atto infatti Mimi e Rodolfo litigano, discutono Mimì scopre la sua malattia e ne accetta l’inevitabilità, ma l’amore è troppo forte: no i due giovani decidono, ci lasceremo alla  “stagion di fior” poiché “soli d’inverno è cosa da morire”. In realtà sia Rodolfo che Mimi scoprono in questo, che è il momento forse più intenso dell’opera, la realtà, una realtà fino ad adesso relegata ad altri e solo ora per la prima volta vista in tutta la sua tremenda ferocia: scoprono la morte. L’ultimo quadro si apre di nuovo sulla soffitta dove Rodolofo e Marcello in una immagine speculare a quella iniziale, ripensano ai loro tristi amori, anche se giocano, scherzano e fingono di non pensare. Solo all’ingresso delle due donne (Musetta che accompagna Mimì morente) la situazione cambierà e la spensieratezza della gioventù sarà travolta dalla serietà e dalla drammaticità della vita. Nell’urlo di dolore di Rodolfo sul corpo ormai senza vita di Mimì non c’è solo  tutta la disperazione della perdita della donna amata, ma anche la disperazione della fine della giovinezza e la sconvolgente accettazione del fato. Puccini disegna sulla partitura, nel punto nella quale la musica sottolinea la morte di Mimi, un teschio a testimoniare che il trapasso di Mimì doveva avvenire in quell’istante e aggiunge “quando trovai quegli accordi scuri e lenti e li suonai al piano, venni preso da una tale commozione che dovetti alzarmi e in mezzo alla sala mi misi a piangere come un fanciullo. Mi faceva l’effetto di aver visto morire la mia creatura”. L’autore / attore chiude il libro, la gioventù è terminata.